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 PURGATORIO CANTO 24

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MessaggioTitolo: PURGATORIO CANTO 24   PURGATORIO CANTO 24 Icon_minitimeDom Feb 08, 2009 1:07 am

24. 1 Né 'l dir l'andar, né l'andar lui più lento
24. 2 facea, ma ragionando andavam forte,
24. 3 sì come nave pinta da buon vento;

24. 4 e l'ombre, che parean cose rimorte,
24. 5 per le fosse de li occhi ammirazione
24. 6 traean di me, di mio vivere accorte.

24. 7 E io, continuando al mio sermone,
24. 8 dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
24. 9 che non farebbe, per altrui cagione.

24. 10 Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda;
24. 11 dimmi s'io veggio da notar persona
24. 12 tra questa gente che sì mi riguarda».

24. 13 «La mia sorella, che tra bella e buona
24. 14 non so qual fosse più, triunfa lieta
24. 15 ne l'alto Olimpo già di sua corona».

24. 16 Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
24. 17 di nominar ciascun, da ch'è sì munta
24. 18 nostra sembianza via per la dieta.

24. 19 Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
24. 20 Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
24. 21 di là da lui più che l'altre trapunta

24. 22 ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
24. 23 dal Torso fu, e purga per digiuno
24. 24 l'anguille di Bolsena e la vernaccia».

24. 25 Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
24. 26 e del nomar parean tutti contenti,
24. 27 sì ch'io però non vidi un atto bruno.

24. 28 Vidi per fame a vòto usar li denti
24. 29 Ubaldin da la Pila e Bonifazio
24. 30 che pasturò col rocco molte genti.

24. 31 Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
24. 32 già di bere a Forlì con men secchezza,
24. 33 e sì fu tal, che non si sentì sazio.

24. 34 Ma come fa chi guarda e poi s'apprezza
24. 35 più d'un che d'altro, fei a quel da Lucca,
24. 36 che più parea di me aver contezza.

24. 37 El mormorava; e non so che «Gentucca»
24. 38 sentiv'io là, ov'el sentia la piaga
24. 39 de la giustizia che sì li pilucca.

24. 40 «O anima», diss'io, «che par sì vaga
24. 41 di parlar meco, fa sì ch'io t'intenda,
24. 42 e te e me col tuo parlare appaga».

24. 43 «Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
24. 44 cominciò el, «che ti farà piacere
24. 45 la mia città, come ch'om la riprenda.

24. 46 Tu te n'andrai con questo antivedere:
24. 47 se nel mio mormorar prendesti errore,
24. 48 dichiareranti ancor le cose vere.

24. 49 Ma dì s'i' veggio qui colui che fore
24. 50 trasse le nove rime, cominciando
24. 51 "*Donne ch'avete intelletto d'amore*"».

24. 52 E io a lui: «I' mi son un che, quando
24. 53 Amor mi spira, noto, e a quel modo
24. 54 ch'e' ditta dentro vo significando».

24. 55 «O frate, issa vegg'io», diss'elli, «il nodo
24. 56 che 'l Notaro e Guittone e me ritenne
24. 57 di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!

24. 58 Io veggio ben come le vostre penne
24. 59 di retro al dittator sen vanno strette,
24. 60 che de le nostre certo non avvenne;

24. 61 e qual più a gradire oltre si mette,
24. 62 non vede più da l'uno a l'altro stilo»;
24. 63 e, quasi contentato, si tacette.

24. 64 Come li augei che vernan lungo 'l Nilo,
24. 65 alcuna volta in aere fanno schiera,
24. 66 poi volan più a fretta e vanno in filo,

24. 67 così tutta la gente che lì era,
24. 68 volgendo 'l viso, raffrettò suo passo,
24. 69 e per magrezza e per voler leggera.

24. 70 E come l'uom che di trottare è lasso,
24. 71 lascia andar li compagni, e sì passeggia
24. 72 fin che si sfoghi l'affollar del casso,

24. 73 sì lasciò trapassar la santa greggia
24. 74 Forese, e dietro meco sen veniva,
24. 75 dicendo: «Quando fia ch'io ti riveggia?».

24. 76 «Non so», rispuos'io lui, «quant'io mi viva;
24. 77 ma già non fia il tornar mio tantosto,
24. 78 ch'io non sia col voler prima a la riva;

24. 79 però che 'l loco u' fui a viver posto,
24. 80 di giorno in giorno più di ben si spolpa,
24. 81 e a trista ruina par disposto».

24. 82 «Or va», diss'el; «che quei che più n'ha colpa,
24. 83 vegg'io a coda d'una bestia tratto
24. 84 inver' la valle ove mai non si scolpa.

24. 85 La bestia ad ogne passo va più ratto,
24. 86 crescendo sempre, fin ch'ella il percuote,
24. 87 e lascia il corpo vilmente disfatto.

24. 88 Non hanno molto a volger quelle ruote»,
24. 89 e drizzò li ochi al ciel, «che ti fia chiaro
24. 90 ciò che 'l mio dir più dichiarar non puote.

24. 91 Tu ti rimani omai; ché 'l tempo è caro
24. 92 in questo regno, sì ch'io perdo troppo
24. 93 venendo teco sì a paro a paro».

24. 94 Qual esce alcuna volta di gualoppo
24. 95 lo cavalier di schiera che cavalchi,
24. 96 e va per farsi onor del primo intoppo,

24. 97 tal si partì da noi con maggior valchi;
24. 98 e io rimasi in via con esso i due
24. 99 che fuor del mondo sì gran marescalchi.

24.100 E quando innanzi a noi intrato fue,
24.101 che li occhi miei si fero a lui seguaci,
24.102 come la mente a le parole sue,

24.103 parvermi i rami gravidi e vivaci
24.104 d'un altro pomo, e non molto lontani
24.105 per esser pur allora vòlto in laci.

24.106 Vidi gente sott'esso alzar le mani
24.107 e gridar non so che verso le fronde,
24.108 quasi bramosi fantolini e vani,

24.109 che pregano, e 'l pregato non risponde,
24.110 ma, per fare esser ben la voglia acuta,
24.111 tien alto lor disio e nol nasconde.

24.112 Poi si partì sì come ricreduta;
24.113 e noi venimmo al grande arbore adesso,
24.114 che tanti prieghi e lagrime rifiuta.

24.115 «Trapassate oltre sanza farvi presso:
24.116 legno è più sù che fu morso da Eva,
24.117 e questa pianta si levò da esso».

24.118 Sì tra le frasche non so chi diceva;
24.119 per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
24.120 oltre andavam dal lato che si leva.

24.121 «Ricordivi», dicea, «d'i maladetti
24.122 nei nuvoli formati, che, satolli,
24.123 Teseo combatter co' doppi petti;

24.124 e de li Ebrei ch'al ber si mostrar molli,
24.125 per che no i volle Gedeon compagni,
24.126 quando inver' Madian discese i colli».

24.127 Sì accostati a l'un d'i due vivagni
24.128 passammo, udendo colpe de la gola
24.129 seguite già da miseri guadagni.

24.130 Poi, rallargati per la strada sola,
24.131 ben mille passi e più ci portar oltre,
24.132 contemplando ciascun sanza parola.

24.133 «Che andate pensando sì voi sol tre?».
24.134 sùbita voce disse; ond'io mi scossi
24.135 come fan bestie spaventate e poltre.

24.136 Drizzai la testa per veder chi fossi;
24.137 e già mai non si videro in fornace
24.138 vetri o metalli sì lucenti e rossi,

24.139 com'io vidi un che dicea: «S'a voi piace
24.140 montare in sù, qui si convien dar volta;
24.141 quinci si va chi vuole andar per pace».

24.142 L'aspetto suo m'avea la vista tolta;
24.143 per ch'io mi volsi dietro a' miei dottori,
24.144 com'om che va secondo ch'elli ascolta.

24.145 E quale, annunziatrice de li albori,
24.146 l'aura di maggio movesi e olezza,
24.147 tutta impregnata da l'erba e da' fiori;

24.148 tal mi senti' un vento dar per mezza
24.149 la fronte, e ben senti' mover la piuma,
24.150 che fé sentir d'ambrosia l'orezza.

24.151 E senti' dir: «Beati cui alluma
24.152 tanto di grazia, che l'amor del gusto
24.153 nel petto lor troppo disir non fuma,
24.154 esuriendo sempre quanto è giusto!».
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