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 INFERNO CANTO 13

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MessaggioTitolo: INFERNO CANTO 13   INFERNO CANTO 13 Icon_minitimeDom Feb 08, 2009 12:47 am

13. 1 Non era ancor di là Nesso arrivato,
13. 2 quando noi ci mettemmo per un bosco
13. 3 che da neun sentiero era segnato.

13. 4 Non fronda verde, ma di color fosco;
13. 5 non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
13. 6 non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco:

13. 7 non han sì aspri sterpi né sì folti
13. 8 quelle fiere selvagge che 'n odio hanno
13. 9 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

13. 10 Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
13. 11 che cacciar de le Strofade i Troiani
13. 12 con tristo annunzio di futuro danno.

13. 13 Ali hanno late, e colli e visi umani,
13. 14 piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre;
13. 15 fanno lamenti in su li alberi strani.

13. 16 E 'l buon maestro «Prima che più entre,
13. 17 sappi che se' nel secondo girone»,
13. 18 mi cominciò a dire, «e sarai mentre

13. 19 che tu verrai ne l'orribil sabbione.
13. 20 Però riguarda ben; sì vederai
13. 21 cose che torrien fede al mio sermone».

13. 22 Io sentia d'ogne parte trarre guai,
13. 23 e non vedea persona che 'l facesse;
13. 24 per ch'io tutto smarrito m'arrestai.

13. 25 Cred'io ch'ei credette ch'io credesse
13. 26 che tante voci uscisser, tra quei bronchi
13. 27 da gente che per noi si nascondesse.

13. 28 Però disse 'l maestro: «Se tu tronchi
13. 29 qualche fraschetta d'una d'este piante,
13. 30 li pensier c'hai si faran tutti monchi».

13. 31 Allor porsi la mano un poco avante,
13. 32 e colsi un ramicel da un gran pruno;
13. 33 e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».

13. 34 Da che fatto fu poi di sangue bruno,
13. 35 ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
13. 36 non hai tu spirto di pietade alcuno?

13. 37 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
13. 38 ben dovrebb'esser la tua man più pia,
13. 39 se state fossimo anime di serpi».

13. 40 Come d'un stizzo verde ch'arso sia
13. 41 da l'un de'capi, che da l'altro geme
13. 42 e cigola per vento che va via,

13. 43 sì de la scheggia rotta usciva insieme
13. 44 parole e sangue; ond'io lasciai la cima
13. 45 cadere, e stetti come l'uom che teme.

13. 46 «S'elli avesse potuto creder prima»,
13. 47 rispuose 'l savio mio, «anima lesa,
13. 48 ciò c'ha veduto pur con la mia rima,

13. 49 non averebbe in te la man distesa;
13. 50 ma la cosa incredibile mi fece
13. 51 indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.

13. 52 Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece
13. 53 d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi
13. 54 nel mondo sù, dove tornar li lece».

13. 55 E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi,
13. 56 ch'i' non posso tacere; e voi non gravi
13. 57 perch'io un poco a ragionar m'inveschi.

13. 58 Io son colui che tenni ambo le chiavi
13. 59 del cor di Federigo, e che le volsi,
13. 60 serrando e diserrando, sì soavi,

13. 61 che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi:
13. 62 fede portai al glorioso offizio,
13. 63 tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi.

13. 64 La meretrice che mai da l'ospizio
13. 65 di Cesare non torse li occhi putti,
13. 66 morte comune e de le corti vizio,

13. 67 infiammò contra me li animi tutti;
13. 68 e li 'nfiammati infiammar sì Augusto,
13. 69 che ' lieti onor tornaro in tristi lutti.

13. 70 L'animo mio, per disdegnoso gusto,
13. 71 credendo col morir fuggir disdegno,
13. 72 ingiusto fece me contra me giusto.

13. 73 Per le nove radici d'esto legno
13. 74 vi giuro che già mai non ruppi fede
13. 75 al mio segnor, che fu d'onor sì degno.

13. 76 E se di voi alcun nel mondo riede,
13. 77 conforti la memoria mia, che giace
13. 78 ancor del colpo che 'nvidia le diede».

13. 79 Un poco attese, e poi «Da ch'el si tace»,
13. 80 disse 'l poeta a me, «non perder l'ora;
13. 81 ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».

13. 82 Ond'io a lui: «Domandal tu ancora
13. 83 di quel che credi ch'a me satisfaccia;
13. 84 ch'i' non potrei, tanta pietà m'accora».

13. 85 Perciò ricominciò: «Se l'om ti faccia
13. 86 liberamente ciò che 'l tuo dir priega,
13. 87 spirito incarcerato, ancor ti piaccia

13. 88 di dirne come l'anima si lega
13. 89 in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
13. 90 s'alcuna mai di tai membra si spiega».

13. 91 Allor soffiò il tronco forte, e poi
13. 92 si convertì quel vento in cotal voce:
13. 93 «Brievemente sarà risposto a voi.

13. 94 Quando si parte l'anima feroce
13. 95 dal corpo ond'ella stessa s'è disvelta,
13. 96 Minòs la manda a la settima foce.

13. 97 Cade in la selva, e non l'è parte scelta;
13. 98 ma là dove fortuna la balestra,
13. 99 quivi germoglia come gran di spelta.

13.100 Surge in vermena e in pianta silvestra:
13.101 l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
13.102 fanno dolore, e al dolor fenestra.

13.103 Come l'altre verrem per nostre spoglie,
13.104 ma non però ch'alcuna sen rivesta,
13.105 ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie.

13.106 Qui le trascineremo, e per la mesta
13.107 selva saranno i nostri corpi appesi,
13.108 ciascuno al prun de l'ombra sua molesta».

13.109 Noi eravamo ancora al tronco attesi,
13.110 credendo ch'altro ne volesse dire,
13.111 quando noi fummo d'un romor sorpresi,

13.112 similemente a colui che venire
13.113 sente 'l porco e la caccia a la sua posta,
13.114 ch'ode le bestie, e le frasche stormire.

13.115 Ed ecco due da la sinistra costa,
13.116 nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
13.117 che de la selva rompieno ogni rosta.

13.118 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
13.119 E l'altro, cui pareva tardar troppo,
13.120 gridava: «Lano, sì non furo accorte

13.121 le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
13.122 E poi che forse li fallia la lena,
13.123 di sé e d'un cespuglio fece un groppo.

13.124 Di rietro a loro era la selva piena
13.125 di nere cagne, bramose e correnti
13.126 come veltri ch'uscisser di catena.

13.127 In quel che s'appiattò miser li denti,
13.128 e quel dilaceraro a brano a brano;
13.129 poi sen portar quelle membra dolenti.

13.130 Presemi allor la mia scorta per mano,
13.131 e menommi al cespuglio che piangea,
13.132 per le rotture sanguinenti in vano.

13.133 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,
13.134 che t'è giovato di me fare schermo?
13.135 che colpa ho io de la tua vita rea?».

13.136 Quando 'l maestro fu sovr'esso fermo,
13.137 disse «Chi fosti, che per tante punte
13.138 soffi con sangue doloroso sermo?».

13.139 Ed elli a noi: «O anime che giunte
13.140 siete a veder lo strazio disonesto
13.141 c'ha le mie fronde sì da me disgiunte,

13.142 raccoglietele al piè del tristo cesto.
13.143 I' fui de la città che nel Batista
13.144 mutò il primo padrone; ond'ei per questo

13.145 sempre con l'arte sua la farà trista;
13.146 e se non fosse che 'n sul passo d'Arno
13.147 rimane ancor di lui alcuna vista,

13.148 que' cittadin che poi la rifondarno
13.149 sovra 'l cener che d'Attila rimase,
13.150 avrebber fatto lavorare indarno.
13.151 Io fei gibetto a me de le mie case».
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